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Un grido d'allarme per sfuggire il punto di non ritorno

di Silvia Sorvillo

23 aprile 2005

Fao e Wwf hanno presentato in questi giorni in dieci capitali sparse sul globo, tra queste anche Roma, il resoconto dell'umano operato sull'ambiente.

il rapporto sull'ambiente

girasoli
La pagella è desolante: oggi il 60% degli ecosistemi terrestri è degradato. Alla radice di tutto c'è sempre l'oramai tradizionale utilizzo insostenibile delle risorse naturali. I risultati sono evidenti e fedeli a tutte le previsioni scientifiche. Cominciamo con quello più significativo per la nostra progenie: il tasso di estinzione delle specie viventi misura un ritmo 1000 volte superiore a quello naturale. Cosa troveranno tra qualche anno i nostri bisnipotini sulla Terra? Dal 1980 siamo riusciti a far sparire il 35% delle foreste di mangrovie, e il recente tsunami ci ha regalato una vaga percezione della loro importanza. Abbiamo danneggiato inesorabilmente il 20% delle barriere coralline mentre per un altro 20% abbiamo ottenuto solo una distruzione parziale. Intere nicchie ecologiche rischiano di scomparire per sempre.

lo squilibrio fra nord e sud del pianeta

Dal 1960 ad oggi siamo passati da tre a sei miliardi di abitanti, ovvio quindi che anche la richiesta energetica e lo sfruttamento delle risorse siano aumentati, ma quale percentuale di umanità, e con quale peso, contribuisce all'odierno sperpero e quale invece vive, anzi sopravvive, utilizzandole al di sotto di una dignitosa necessità? Il rapporto "Millennium Ecosystem Assessment" (Mea), introdotto a Tokyo da un videomessaggio di Kofi Annan, parla chiaro. Due terzi delle risorse terrestri sono in netto declino, per ora a pagare ci sono quei due miliardi di persone che vivono nelle zone povere del mondo ma presto, continuando di questo passo, degrado e povertà arriveranno pure nella fascia ricca e sviluppata. Tra l'altro a ben guardare anche il concetto di povero o ricco e sviluppato andrebbe rivisto. Attualmente la terra dei Paesi del Sud del mondo sembrerebbe essere sicuramente messa meglio non solo per le ricchezze naturali e i giacimenti ma anche per le eventuali potenzialità di crescita. Forse a fare la differenza è semmai la cattiva gestione politica che ha favorito nettamente e per secoli solo lo sviluppo e l'affermazione degli Stati settentrionali cosiddetti sviluppati.

Il segretario generale dell'Onu, che nel 2001 ha voluto questo studio, ha descritto molto chiaramente la situazione: "Le attività umane stanno causando danni in larga scala e su tutto il pianeta. La biodiversità, base della vita, scompare ad un ritmo allarmante, possiamo ancora cambiare direzione, i governi dei singoli paesi hanno una grossa responsabilità in questo senso e ognuno di noi può fare ancora molto".
I risultati presentati al Mea sono frutto dell'osservazione registrata e analizzata da 1300 scienziati provenienti da 95 paesi per un intervallo di tempo lungo quattro anni.

il degrado dei suoli coltivabili

Molti i settori in cui c'è stato scarso rispetto delle biorisorse e quindi altrettanto numerosi gli ambiti su cui oggi possiamo intervenire per ribaltare la situazione, o, quantomeno, per tentare di conservare ciò che ci è rimasto. Agricoltura, industrie e allevamenti hanno strappato alla natura un quarto delle terre emerse. In cinquanta anni abbiamo risucchiato le risorse idriche raddoppiandone il prelievo. Dal 1960 al 1990 il progresso tecnologico ci ha erroneamente indotto ad utilizzare fertilizzanti a base di fosforo e azoto triplicandone le dosi. Oggi che la chimica è stata allontanata dai campi perché nociva alla salute la reintroduciamo di soppiatto con gli ogm, gli organismi sintetici che tollerano senza risentirne quantità ingenti di alcuni pesticidi, veleni che poi rilasciano pericolosamente o nell'ambiente, impoverendo e inquinando sempre più la terra dove crescono, o nei nostri intestini dopo un breve soggiorno sui piatti di portata.

La cattiva gestione però non si ferma qui. Per non fare preferenze abbiamo pensato di sistemare anche il mare e con l'incremento smodato della pesca industriale abbiamo messo in crisi un quarto delle riserve marine. La popolazione ittica di alcune zone è arrivata a contare un decimo di quella degli anni passati, i merluzzi del Mar Baltico e le sardine del Mediterraneo sono prossimi all'estinzione. Se non scegliamo al più presto una politica di gestione che rispetti e recuperi lo stock naturale presto oltre ai pesci scomparirà un'intera categoria professionale, quella dei pescatori. E per le popolazioni che vivono di pesca saranno guai.

una possibile via d'uscita

Di questo passo un paesaggio da day-after rischia di non essere più l'effetto di un'esplosione nucleare, di un terremoto o di una qualsiasi catastrofe naturale o tecnologica ma il logorarsi inesorabile e rapido di questo nostro splendido pianeta. L'incubo è davvero vicino ma possiamo ancora farcela, basterebbe cominciare a cambiare le basi economiche su cui noi paesi sviluppati facciamo le scelte e costruiamo le politiche socio-economiche. Pianificazione e gestione ecocompatibile, tecnologie a basso impatto ambientale sono realtà possibili, adottabili e necessarie. Diversamente in cinquant'anni, o poco meno, distruggeremo per sempre la rete biologica di cui siamo parte e senza la quale noi specie "superiore" non potremmo più esistere.






Scienzità è stato realizzato da Silvia Sorvillo e Vittorio Sossi