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Aids-ricerca: in arrivo l'aiuto di un gene molto antico per combattere la più moderna delle sindromi immunologiche

di Silvia Sorvillo

11 febbraio 2005

Nella difficile ricerca terapeutica volta anche alla prevenzione dell' Aids arriva a dare il suo contributo un nuovo e antichissimo gene che pare risalire al Medioevo e che sembra indurre una naturale, ma anche rarissima, forma di resistenza al virus.

Dopo la scoperta, fatta nel 2000, che ha rivelato come una variante (la delta 32) del gene CCR5 può rendere, se presente in omozigosi (cioè in duplice copia), chi la possiede più resistente all'infezione da hiv, i ricercatori hanno individuato un altro gene, il CC3L1, che aumenta la resitenza al virus attraverso lo stesso percorso del CCR5.

Due geni coinvolti in una resistenza naturale

Per capire meglio cominciamo con il ricordare che CCR5 è il recettore di superficie capace, con la sua variante delta32, di impedire l'accesso del virus alla cellula. Il CCR5 è un recettore, piccolo orpello fatto di glicoproteine, che si trova sulla membrana dei linfociti T. Proprio su questo va ad agganciarsi la particella virale presente nel sangue infetto e, solo dopo averlo contattato, il virus riesce a fare il suo ingresso nella cellula T. In realtà l'aggancio del virus con il CCR5 serve ad aprire la vera porta d'ingresso per il virus hiv sul linfocita T, il recettore CD4. Superata questa porta il virus inizia a replicarsi e l'infezione va avanti.

La variante delta 32 del CCR5

La variante del CCR5 chiamata delta 32, variante presente in una piccolissima percentuale delle popolazioni, presenta rispetto alla forma normale un'alterazione della catena proteica che impedisce l'aggancio tra il virus e il linfocita. Più nel dettaglio la forma (isotipo) delta 32 del CCR5 sbarra l' accesso alla cellula perché rende impossibile il successivo contatto tra il recettore CD4 e il virus.

la massima espansione dei vichinghi Aree interessate dall'espansione dei vichinghi

Per studiare il meccanismo d'azione e identificare le origini della variante delta 32 sono stati messi a punto, negli anni passati, molti studi. Tra i tanti è molto interessante quello parigino, datato agosto 2001 e pubblicato su Human Immunology vol. 62, n°9, dell'Istituto Internazionale di Antropologia. In questo lavoro Gèrard Lucotte conferma la presenza di tale variante genetica già al tempo dei Vichinghi, anzi pare che siano stati proprio loro, come portatori di questa isoforma, a diffonderla, attraverso la politica espansionistica che culminò nell'anno 1000, anche tra le altre popolazioni più meridionali (31 popolazioni della vecchia Europa, Cipro, Turchia, Daghestan e Nordafrica).

Quest' anno, il 6 gennaio 2005, un altro studio, stavolta pubblicato su Science, presenta un nuovo elemento genetico che prende parte alla lotta all'infezione da hiv e che sembra avere di nuovo origini lontane nel tempo.

Il team di scienziati di questo lavoro è multietnico, il laboratorio ha sede ufficiale a S.Antonio presso l'Università del Texas ed è guidato da Sunil K. Ahuja. Secondo questa recente ricerca, cui ha collaborato anche Matthew Dolan, esperto di Aids e consulente dell'Aeronautica americana, a rafforzare l'azione del CCR5 contribuisce anche un gene, il CC3L1, che orchestrando la produzione di citochine, sostanze solubili che impartiscono ordini precisi a tutte le cellule del sistema immunitario, impedisce l'espressione e la disponibilità del recettore che accoglie il virus.

meccanismo d'azione di CC3L1

In dettaglio il gene CC3L1 determina la produzione della citochina MIP 1alfaP, una proteina che va ad interagire con il recettore CCR5, e riduce l'accessibilità di questo stesso recettore al virus che così di fatto non riesce ad entrare nella cellula. Il gene CC3L1 è normalmente presente nel nostro piccolo bagaglio genetico e risale, come l'isoforma delta32, ad epoche molto lontane.

Questa volta probabilmente le origini risalgono a progenitori che vissero tra il 1300 e il 1600 durante la Peste Nera o forse più recentemente dall'epoca del vaiolo. In quegli anni il suo compito era probabilmente solo quello di attivare i normali percorsi di difesa immunologica, oggi invece, di fronte alla nuova sindrome infettiva, lo stesso gene, quindi la stessa proteina, risulta ricoprire anche un nuovo ruolo, quello di bloccare l'ingresso dell'hiv nelle cellule T.
Ancora una volta gli studi confermano come nalla nostra piccola valigetta genetica, il nucleo di ogni cellula, non ci sia nulla di inutile o superfluo; nello stesso tempo risulta anche evidente quanto sia straordinariamente adattabile e simultaneamente specifico il nostro sistema immunitario.

Nel caso del gene CC3L1 questo risulta essere tanto più vero in quanto l'efficacia della sua azione dipende essenzialmente dal numero di volte in cui la sua sequenza è ripetuta nel genoma. CC3L1 è infatti un gene ridondante, e dal numero di copie che ognuno di noi possiede dipende questa sua attività protettiva specifica per l'hiv.

Non è il caso di abbassare la guardia

Tutte queste nuove informazioni sono molto importanti per gli operatori del settore e per i clinici che forse un giorno, speriamo sempre più vicino, potranno utilizzare protocolli diversi in base al genotipo del paziente e dosi e farmaci saranno molto più efficaci perché somministrati veramente su misura. Qualsiasi speculazione ulteriore è però azzardata, gli autori si raccomandano: ogni ipotesi che, basandosi su queste informazioni, possa portare a credere di essere naturalmente protetti dal virus è pericolosa e falsa. Nonostante entrambi i geni siano molto antichi sono anche molto rari perciò pensare di appellarsi a loro per condurre una vita sessuale più libera e disinibita senza protteggersi con il profilattico resta un comportamento a rischio e incosciente.

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Scienzità è stato realizzato da Silvia Sorvillo e Vittorio Sossi